“Questa e’ tutta zona nostra. Ci sono io e qua tutti si devono mettere alla pecorina”. La protervia dei boss intercettati, gli ‘Ndranghetisti che si erano presi il Nord Lombardia. Erano arrivati quindici anni fa dalla piana di Gioia Tauro e si erano mimetizzati soprattutto tra Como e Varese. E volevano esportare il loro modello di ‘Ndrangheta anche in Svizzera. Estorsioni, usura, corruzione, voto di scambio, aziende di imprenditori conquistate a forza di minacce ed estorsioni, fino a farle fallire. Dalle prime ore dell’alba, la Polizia di Stato di Milano e la Guardia di Finanza di Como hanno eseguito 54 provvedimenti di fermo di indiziati di delitto, al termine di una lunghissima indagine sulle infiltrazioni delle cosche a Milano e nel Nord Lombardia.
La complessa attività di indagine, sviluppatasi in coordinamento tra la DDA di Milano e la DDA di Reggio Calabria, ha consentito di ricostruire la storia di circa quindici anni di presenza della ‘ndrangheta. Un’occupazione capillare del Nord Milanese e del territorio a cavallo tra le province di Como e Varese, evidenziandone la vocazione sempre più imprenditoriale. Si mimetizzavano nel tessuto economico-legale, facevano affari con la politica locale e, buon ultimo, alimentavano il traffico di droga. A effettuagli arresti, dopo anni di intercettazioni e indagini, gli uomini della Squadra Mobile di Milano e della GdF di Como.
Dalla piana di Gioia Tauro alla Lombardia: “Siamo come le raccomandate, arriviamo a casa”
I 54 arrestati sono tutti di origine calabrese provenienti dalla piana di Gioia Tauro, appartenenti alla cosca Molè. Forza di intimidazione omertà delle vittime le loro armi: “Siamo come le raccomandate, arriviamo direttamente a casa”, si legge nelle intercettazioni del dispositivo. Per un lungo periodo hanno compiuto una serie interminabile di estorsioni, usura, bancarotta fraudolenta, frode fiscale e corruzione, costringendo gli imprenditori lombardi al pagamento di ingenti somme di denaro per poi acquisire la totale gestione delle loro attività economiche.

Quindici anni di assoggettamento del territorio
In particolare, l’indagine fotografa tre periodi storici, raccontando minuziosamente tutte le modalità di assoggettamento del territorio. Il primo periodo tra 2007 e il 2010 e’ quello in cui i clan cominciano a mettere in atto le estorsioni a danno degli imprenditori locali. Minacce, incidenti, “pizzo” pagato regolarmente nel silenzio delle vittime. Dal 2010 e per la successiva decade le famiglie aggiungono al “pizzo” il controllo e la gestione economica di appalti remunerativi relativi al servizio di pulizia di grandi imprese. E’ qui che inizia l’indagine, dal controllo di alcune cooperative dietro le quali si celavano le cosche.
L’imprenditore complice della ’Ndrangheta e le coop fasulle
Grazie alla “collusione” di un imprenditore che si presentava come “faccia pulita”, e titolare formale di cooperative del settore, gli indagati ideavano un articolato sistema di frode finalizzato all’evasione fiscale. Attraverso i soldi in nero i clan finanziavano l’associazione di stampo mafioso. Sistema di frode fiscale che tre anni fa le forze dell’ordine portavano alla luce smantellando il “sistema”. Ed e’ qui, nel 2018, che inizia il terzo periodo d’indagine. Gli arresti non fermano gli indagati che riprendono sino ad oggi, su larga scala, a taglieggiare piccoli e medi imprenditori. Perfino semplici cittadini.

Il ristorante fatto fallire per i debiti all’erario
La ‘Ndrangheta dell’Alto Milanese ha esteso i suoi tentacoli su molti settori redditizi dell’imprenditoria lombarda. Si va dal dal settore del trasporto conto terzi alla ristorazione e ai servizi di pulizia e facchinaggio. Emblematico il caso di un noto ristorante milanese sito in un punto panoramico della citta’ e gestito da una società riconducibile agli indagati. Questi, dopo aver drenato notevoli risorse finanziarie illecite dagli indagati e verso gli indagati, accumulando però debiti giganteschi nei confronti dell’erario, era fallita per aver sistematicamente omesso il versamento delle imposte.
Altra vittima, una storica società lombarda nel campo delle bevande e con annessa un’attività di trasporti e logistica. Gli affiliati grazie a minacce ed estorsioni erano arrivati a gestirne tutti i sub appalti legati ai trasporti. Poi si spartivano tra loro le commesse del trasporto garantendosi enormi guadagni ricorrendo al sistema delle false fatturazioni.
Per la droga la ‘Ndrangheta guardava alla Svizzera
Una vera e propria ‘ndrangheta 2.0 Società Per Affari, in cui pero’ il business storico della droga non veniva mai abbandonato. Gli indagati tenevano d’occhio soprattutto a espandersi verso la Svizzera. In particolare, verso il Cantone San Gallo che alcuni dei soggetti indagati avevano trasformato nella propria base logistica. I trasfertisti vi si erano insediati dedicandosi prevalentemente ai traffici di sostanza stupefacente proveniente dall’Italia, provvedendo inoltre a radicarsi e ramificarsi allo scopo di costituire in loco nuove strutture territoriali di ‘ndrangheta.