Ancora criminalità organizzata, ancora i tentacoli delle cosche calabresi sulla Lombardia. Traffico di armi e droga al centro di un’indagine della Guardia di Finanza di Pavia che ha portato all’arresto di tredici persone delle famiglie di Plati’ (Calabria) fra Milano, Brianza e Pavese. Droga, estorsioni ma anche armi al centro degli affari del clan di Plati’ che si era ramificato nelle tre province lombarde. E il ruolo non marginale, anche se secondario, anche di alcune mogli di ‘Ndrangheta nella preparazione degli stupefacenti o nella raccolta del denaro proveniente da droga e armi.
In cento per il blitz anti ‘Ndrangheta

È scattato alle prime luci dell’alba di lunedi l’intervento dei militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Pavia con la collaborazione del Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata di Roma (Scico). Oltre cento gli uomini in campo per il raid con il supporto di reparti della Lombardia, Piemonte e Calabria.
I finanzieri hanno eseguito 13 ordinanze di custodia cautelare emesse dal Gip del Tribunale di Milano. I soggetti arrestati sono estremamente vicini a storiche famiglie ‘ndranghetiste originarie di Platì (RC). Famiglie poi radicatesi nel Nord Italia nei territori a cavallo tra le province di Pavia, Milano e Monza Brianza nonché nel torinese.
Due anni di indagine: anche estorsioni e minacce
Le ipotesi investigative contestate dalla Procura Distrettuale Antimafia milanese sono varie. Associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, detenzione e porto di armi. Oltre ed episodi di estorsione perpetrati in Lombardia con l’aggravante del metodo mafioso. Le Fiamme Gialle con il supporto di decine di unità anti terrorismo, unità cinofile e mezzi aerei hanno portato l’operazione fino alla roccaforte di Platì dove i principali responsabili del sodalizio si erano spostati, facendo poi la spola con la Lombardia.
L’attività investigativa era iniziata nella primavera del 2019 e si e’ conclusa oggi con l’esecuzione delle ordinanze di custodia cautelare. I soggetti del clan erano da allora sotto controllo e da tempo stanziati nei territori compresi tra le province di Pavia e Milano, dove avrebbero operato seguendo condotte tipicamente mafiose. Le attività investigative hanno registrato ripetute estorsioni nei confronti di soggetti che ritardavano a pagare lo stupefacente. I malviventi ricorrevano spesso a minacce e intimidazioni, prospettando nei confronti delle loro vittime gravi conseguenze ove non avessero saldato i propri debiti nei tempi richiesti.
Coinvolte anche mogli e fidanzate di ‘Ndrangheta: preparavano la droga e incassavano i soldi
Il sodalizio trattava considerevoli quantitativi di cocaina e marijuana, immessi nella rete di distribuzione, vendita e consumo anche con l’intento di rifornire gruppi criminali a loro collegati della Lombardia, del Piemonte, della Liguria e in Toscana. Non sono estranee ai reati anche alcune figure femminili, mogli o fidanzate dei principali indagati di ‘Ndrangheta. In più occasioni, aiutavano i congiunti nelle operazioni di prelievo, consegna e confezionamento della droga. E, se serviva, a conteggiare i proventi illeciti incassati. Per una di loro, come per altri due fiancheggiatori della banda, il Gip del Tribunale di Milano ha disposto l’obbligo di presentazione alla Polizia giudiziaria. Per un quarto indagato invece l’obbligo di dimora nel territorio del comune di residenza.

”Kalashnikov? Ne hanno una “camiata””
Il clan, per perpetrare le estorsioni ed il traffico di droga o per fronteggiare qualsiasi tipo di minaccia proveniente dall’esterno, aveva la disponibilità di armi automatiche. In prevalenza mitragliatori Kalashnikov, riforniti da un’altra cellula di ‘Ndrangheta collegata. “L’automatico? Ne hanno una camiata (camionata in calabrese, ndr). E, belli, belli, belli. Qua in zona, una camiata. Ne hanno 14”, dice un indagato. “E pero’ costano cari”, obietta l’interlocutore in un’intercettazione.
Imprese fasulle e dichiarazioni dei redditi truccate
Per rendere difficile l’individuazione dei proventi delle attività illecite il sodalizio criminale avrebbe utilizzato società di servizi ed imprese edili, costituite ad hoc, ma di fatto inattive. Con l’emissione di fatture false potevano occultare i proventi illeciti sfruttando anche la complicità di almeno un professionista per presentare bilanci e dichiarazione dei redditi opportunamente “adattati”.