La notte tra il 19 e il 20 febbraio 2020 Mattia Maestri entrava in ospedale a Codogno (Lodi) con un’affezione ai polmoni e la febbre alta. Alle ore 20 del 20 febbraio, il tampone richiesto dall’ anestesista Annalisa Malara – forzando tutti i protocolli in vigore – certificava ufficialmente il primo caso di positività al Covid-19 nel mondo occidentale. Nelle ore successive, durante la notte, circa 300 chiamate in coda alla Croce Rossa di Codogno convincevano Regione Lombardia a sigillare l’ospedale, ormai primo focolaio di malati Covid, e il sindaco di Codogno Francesco Passerini a chiudere la citta’ che, due giorni dopo, insieme ad altri nove comuni circostanti e 47mila lodigiani sarebbe diventata la prima zona rossa d’Italia mai decretata dal dopoguerra. E il “paziente 1”, Mattia Maestri, entrava in fin di vita in terapia intensiva a Pavia per diciotto lunghissimi giorni.
Il virus circolava gia’ da almeno due mesi
Questa la storia che conosciamo. Ma prima del “paziente 1” il virus circolava gia’ in Lombardia da due mesi e i casi con sintomi erano almeno 500. E’ quanto ha scoperto Danilo Cereda, dell’Unità organizzativa Prevenzione – Malattie infettive della Dg Welfare di Regione Lombardia e da infettivologi e virologi delle Ats, degli Ircss, delle Asst lombarde. Un studio che sarà pubblicato sul numero di dicembre di «Epidemics – The Journal on Infectious Disease Dynamics». Edimostra che il Covid-19 circolava già abbondantemente in Lombardia prima del cosiddetto paziente 1 di Codogno. Spiega Cereda: “Quel lavoro ci ha fatto capire il percorso che stava facendo il virus in Lombardia».

La storia del virus nello studio della Regione
Secondo lo studio in Lombardia c’erano 527 casi di persone con sintomi, di età compresa fra i 57 e i 78 anni, di cui 39 erano sanitari. Il Covid “circolava gia’ per lo meno in 222 dei 1506 Comuni lombardi”. Secondo le stime dei ricercatori, l’intervallo seriale (cioè il tempo di trasmissione) era di 6,6 giorni mentre il numero di riproduzione (il cosiddetto R0) passava da un 2,6 a Pavia a un 3.3 a Milano.
Primo caso di Covid-19 un bimbo milanese
Nelle mappe contenute nella prima versione dello studio, ora sottoposto all’evoluzione “peer review” da altri ricercatori, si evidenziava che i primi casi di coronavirus in Lombardia erano stati, con il metodo delle interviste ai malati e ai loro parenti, collocati ad Arese e Cornegliano Laudense già a metà gennaio. E poi, dieci giorni dopo, anche a Casalpusterlengo, Corno Giovine, Curno, alle porte di Bergamo, e Montirone, nella cintura esterna di Brescia. E altri studi su campioni biologici conservati sottozero lo hanno trovato già a novembre 2019 in un bambino della provincia di Milano.
Metodo e interviste: 527 persone con sintomi
Il metodo seguito è stato quello di analizzare i registri ufficiali dei casi avvenuti in Lombardia durante la prima fase dell’epidemia, creando un elenco di casi confermati in laboratorio e successivamente consolidato in modo retrospettivo. Poi hanno usato interviste standardizzate per casi accertati e loro stretti contatti. In questo modo i casi accertati sono 527 che mostravano sintomi prima del 20 febbraio. Di questi l’89,2% è finito in ospedale e il 27,5% e’ deceduto. I casi riguardavano tutte le 12 province con una percentuale maggiore nelle province di Lodi e Bergamo (53%).
Covid-19, l’Rt in impennata fino a febbraio 2020
Il tasso di contagio (Rt) ha mostrato un rapido innalzamento fino alla fine di febbraio seguito da una diminuzione. “Questo calo inizia nei giorni immediatamente successivi alla scoperta del primo caso, ed e’ più marcato a Lodi, Bergamo e Cremona”. Cioè nelle aree dove ci sono stati interventi come “la definizione di aree di quarantena a Lodi, l’aumento dello smart working e restrizioni allo sport al chiuso e ai servizi di ristorazione a Bergamo e Cremona”.